Decreto Salva Casa, cambia tutto: sarà il tuo Comune a decidere | Se avevi già iniziato i lavori ti attacchi
Il recente intervento di un Comune italiano mette in luce la verità sul Decreto Salva Casa: dipende dalle disposizioni comunali.
Il Decreto Salva Casa nasce per rendere più agevole la regolarizzazione di piccole irregolarità edilizie e offre una soluzione semplificata che non ha nulla a che vedere con i tradizionali condoni. Un’opportunità, questa, per chi ha fatto modifiche minori senza permessi, come piccole estensioni o modifiche interne, di allinearsi con le normative senza rischiare pesanti sanzioni.
La chiave di questo decreto è nel meccanismo del ‘silenzio assenso’: in pratica, se l’amministrazione non risponde entro un certo periodo, si considera il nulla osta per le modifiche richieste.
L’obiettivo? Dare respiro a proprietari e amministrazioni, permettendo di sanare situazioni altrimenti bloccate e di migliorare la gestione del patrimonio edilizio esistente. Tuttavia, quando tutto sembra ormai chiaro, emerge una precisazione, ossia quella dei Comuni: ogni città può decidere o meno la validità del Decreto. Ma vediamo nel dettaglio.
Decreto Salva Casa, i comuni possono annullare quanto stabilito
Con il recente Decreto Salva Casa, il Governo ha introdotto diverse agevolazioni per chi possiede o intende ristrutturare immobili esistenti. Tuttavia, l’effettiva applicazione delle norme non è automatica: spetta infatti ai singoli Comuni decidere come e se applicare le nuove regole, che non sostituiscono i Piani Regolatori locali.
A fare chiarezza è stato il Comune di Roma, che con la circolare n. 205723/2024, ha fornito una sorta di guida interpretativa sulle novità del decreto. Questo vale sia per la città capitolina, che per il resto dei Comuni italiani.
Decreto Salva Casa: le disposizioni in mano ai Comuni
Il Decreto Salva Casa punta a semplificare alcune norme urbanistiche, delegando però ai Comuni il potere decisionale su questioni chiave. Un esempio è la possibilità di cambiare la destinazione d’uso degli edifici, come da commerciale a residenziale: anche se il decreto offre flessibilità, ogni Comune può imporre i propri vincoli urbanistici. A Roma, per esempio, il piano urbanistico comunale ha la precedenza e può limitare questi cambiamenti.
Il decreto prevede anche deroghe agli standard di agibilità per adattare i requisiti agli edifici più datati, come l’altezza minima a 2,40 metri. Anche in questo caso, però, Roma ha scelto di applicare queste deroghe solo per interventi che migliorino le condizioni igienico-sanitarie degli immobili esistenti, escludendo nuove costruzioni o cambi di destinazione.
Infine, sulla conformità urbanistica, il decreto distingue tra doppia conformità completa e ‘asimmetrica’ (ossia attuale, ma diversa da quella originaria). Il Comune di Roma ha chiarito questi requisiti anche nelle sanzioni applicabili, stabilendo casi specifici e livelli di conformità.
Come avviene per Roma, ogni Comune può definire le proprie regole per applicare il decreto. Visto e consideto questo fattore, consultare le disposizioni locali diventa essenziale per evitare gravi errori.